Passa ai contenuti principali

Una storia


 

Quant’è difficile per voi leggere negli occhi di una persona?

Per me è veramente complicato.

Io capisco meglio i movimenti del corpo, individuo la timidezza,  la prepotenza,  la distrazione, l'ansia.

Ma se proprio devo guardare gli occhi preferisco quelli dei bambini. Non è perchè sono tutti belli e buoni, ci sono anche quelli brutti e cattivi, soltanto che la maggior parte delle volte non hanno ancora imparato a mascherare i sentimenti e ogni volta ho la speranza che possano cambiare in meglio con il tempo. 

Ho i miei anni, l'ho visto accadere.

Mi è successo due volte nel giro di poche settimane,  qualche anno fa, di ricevere le scuse da compagne di classe dei primi anni di scuola. 

Una di loro mi aveva esclusa da una sua festa di compleanno e a distanza di una quarantina d’anni ancora ci pensava. E un po' soffriva.

Io ricordo perfettamente ogni istante di quel pomeriggio (ti ho mentito quando ti ho detto che non ricordavo, se stai leggendo, ma non volevo farti stare male, avevi già avuto quel pensiero fastidioso per troppo tempo); nel mio ricordo non c’era rabbia, rancore, voglia di rinfacciare qualcosa ma tristezza e rassegnazione perché mi succedeva molto spesso di essere esclusa. Non dipendeva da lei ma da me. Non ero abbastanza, non so cosa, ma non ero abbastanza.

Poi sono cresciuta, ho visto dagli sguardi degli altri che forse non ero poi tanto male.

Nello stesso modo in cui alcune persone mi avevano schiacciata, altre mi avevano rincuorata, amici che sono rimasti o presenze momentanee che sono esistite pochi giorni.

Tutto è andato a posto. Sono stata forte ma soprattutto fortunata.

Sono in buona compagnia: nella maggior parte dei casi le persone trovano una nicchia di mondo e lì vivono a proprio agio.

Però ci sono persone che sono destinate a soffrire molto a lungo. Imparano a prendere schiaffi dalla vita e non sanno perché, talvolta non capiscono nemmeno da dove arrivino i colpi ma li subiscono come fossero meritati.

E quegli occhi sono tristi, spenti, affaticati la maggior parte del tempo.

Non li capisco tutti gli occhi delle persone ma ho imparato a guardarne alcuni. 

Guardateli anche voi. Questi.

Sono morbidi, caldi, affettuosi…vi dirò, spesso distratti, altre volte arrabbiati, come se avessero uno spillo piantato lì, in mezzo ai pensieri. Un dolore che ferisce per i ricordi che riporta al presente, senza che il tempo li abbia saputi mitigare.

Occhi che hanno visto gli anni scorrere, che hanno conosciuto la sofferenza ma anche l'amore. Di un uomo intelligente.

Questi occhi sono stati fortunati, sì…ma non perché hanno ricevuto un destino favorevole, bensì 

- hanno rubato questa fortuna. 

- Non si comprende altrimenti come due occhi semplicemente belli, anzi mi correggo, solamente belli, abbiano potuto conquistare occhi così colti.

- Insomma una coppia assortita secondo il detto : “gli opposti si attraggono”, ovvio.

- Lei bella, lui intelligente. Lei talmente bella, lui talmente intelligente.

Eppure, con il passare del tempo, a guardarlo, lui, quello soltanto intelligente, non era poi malaccio. Un abito elegante, una cravatta, i capelli tagliati di fresco, curato amorevolmente ma sempre con tanti numeri per la testa.

E lei, sempre bella, non era poi soltanto bella. Aveva allevato due figli.

- certo come meglio poteva, non essendo perfetta. E non si capisce come, ma aveva avuto ancora fortuna, sempre quella un pochino meno che meritata, perché i due figli, che non sembravano nemmeno loro delle gran volpi, poverini, alla fine qualcosa nella vita avevano concluso.

- Piove sempre sul bagnato, lei bella, lui intelligente e alla fine i figli non sono proprio stupidi.

Sapete, la stupidità si eredita, non soltanto geneticamente ma anche nelle abitudini. E anche la timidezza.

Ho imparato ad essere timida e insicura dalle abitudini di mia madre.

Ma ho avuto tanto amore intorno, le persone giuste e la mia intelligenza. 

Ho imparato a leggere gli occhi di mia madre, prima per capirli con la ragione,  poi per comprenderli con l'anima, forse anche grazie al lavoro che faccio, con gli occhi di tanti bambini che devo convincere con ogni mezzo di non essere stupidi.

L'altro giorno per telefono ho sentito quegli occhi commuoversi e tirare fuori con dolcezza e rassegnazione la rabbia di una bambina che a 76 anni scopre di aver vissuto sempre con l'ADHD (guardandomi mentre intervistavo un ragazzo di 38 anni che aveva appena scoperto di avere un deficit dell'attenzione). 

E di essere stata messa all'angolo per una stupidità non meritata.

Mio padre ha visto la tristezza e la timidezza, la ribellione, la sfida e andando oltre non ha mai trovato la stupidità. L'intelligenza ha trovato l'intelligenza. 


Pigri, monelli, stupidi, ingestibili.

Questi sono i bambini con disturbi prima della diagnosi. 

Quando al mondo non si può fare affidamento sull'intelligenza altrui è necessario ricorrere alle diagnosi. 

Stupido a questo punto è chi non le accoglie. 



Commenti

Post popolari in questo blog

i nodi

Amavo correre con il vento in faccia, libera, selvatica. Io, mio fratello e i miei due cugini andavamo giù dalla ripa e poi ci dondolavamo tra le liane che scendevano giù dagli alberi. Non temevamo nulla, nessun animale, nemmeno i ragni che affollavano qualche tana abbandonata. Ogni anfratto era un nascondiglio, un posto in cui arrivare per primi. Mio nonno, un uomo buono, con il viso spigoloso scavato dalle rughe, per tenerci vicini a casa ci raccontava del vigile Giuseppe, pronto a fare multe salatissime ai bambini monelli. Penso che il vigile Giuseppe sia nato quando io avevo circa 5 anni, il giorno in cui ho fatto un capriccio di troppo per mangiare la verdura. Ed è vissuto nei nostri racconti, per una decina d'anni fino all'età della meritata pensione. Senza alzare un dito o emettere un suono, senza mai esistere veramente, è riuscito a tenere a bada 4 bambini scatenati. La divisa, il fischietto argentato dal suono mai udito non erano da sfidare. E ancora og

I "grazie " non detti

La gratitudine è il motore delle relazioni umane sane, uno scambio di reciproca stima, e la si percepisce con i fatti, gli atteggiamenti e con le parole. Quando il “grazie “ non arriva può essere irritante. Ho in mente tuttavia una situazione in cui il riconoscimento di un lavoro ben fatto non si manifesta con la parola “grazie” ma proprio tramite la sua omissione. Il mio quotidiano lavorativo è abbastanza faticoso: devo affrontare temi ostili inerenti la matematica, con ragazzi che hanno disturbi specifici dell’apprendimento o, come accade ogni tanto, anche problemi cognitivi. Dopo molto lavoro da entrambe le parti, mio e del mio allievo, arriva il tanto agognato: “Ce l’ho fatta!”  Il bimbo esulta soddisfatto perché ha capito un argomento, un passaggio, un ragionamento, e quell’istante ripaga di tutti i sacrifici fatti. Io, dal mio lato della scrivania, gioisco del meritato successo, faccio complimenti, creo le basi per la costruzione di una nuova autostima, più positiva

vincenti diversi

Mi alzavo presto la mattina e preparavo la colazione: uova, spremuta di arancia e caffè, la colazione dello sciatore. Il caffè lo bevevo io, che non sciavo. Le uova e la spremuta erano per Matteo, mio figlio, che sciava. Era in una squadra preagonistica…o come diceva lui a cinque anni: “Faccio Agonia”. E per me, che non sono una sportiva, si trattava di una vera agonia. Non ho spirito agonistico, non mi piace gareggiare, nemmeno partecipare. Ma mi piace vincere. Mi piace faticare, lottare e vincere. Non nello sport. In altre cose della vita. Forse a voi piace lo sport ma, si sa, siamo tutti diversi. In una cosa però siamo tutti uguali: ci mettiamo in gioco con tutte le nostre forze in qualcosa in cui crediamo o, meglio, in cui crediamo di poter vincere. Un’altra cosa in cui forse siamo tutti un po’ simili è che alla maggior parte di noi piace immedesimarci nelle storie che sanno di fatica, impegno ma infine vittoria. Ed è la storia di Giulio che in questo momento ci appassi