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Autostima

  • “Professore straordinario” -

Rispondevo così quando ero piccola e mi chiedevano che lavoro facesse mio padre.

In quello straordinario c’era tutto il mio mondo.

Quell’essere eccezionale che ogni mattina usciva di casa per andare a lavorare, bello, elegante, serio, molto serio, troppo serio, quello era il mio papà. 

Ed era veramente straordinario!

In quegli anni, dopo essere stato assistente di ruolo per una cattedra universitaria, si diventava professore straordinario. 

Mi chiedo tutt’oggi se l'ideatore di questo titolo avesse un malcelato ghigno quando ha approvato l’appellativo di questa carica. Avrà ammiccato ai suoi colleghi, sfiorandoli con il gomito, pensando al gioco di parole.

Una trappola in cui io, giovanissima, sono caduta.

Mio malgrado dopo tre anni di onorato servizio come professore straordinario mio padre è stato esaminato e promosso a professore ordinario. 

Io non devo averla presa troppo bene perché ancora oggi ricordo la delusione di non poter più dire che avevo un papà straordinario e che, con il passare degli anni, era sceso dal suo piedistallo ed era diventato ordinario, comune.

Il mio era speciale e non glielo diceva più nessuno, non era più scritto da nessuna parte.

Ho incassato il colpo e me ne sono fatta una ragione evitando di affrontare apertamente il discorso per non mettere il coltello nella piaga.

Immaginavo che ci fosse stato male lui per primo, anche se non lo dava proprio a vedere.

Straordinario anche in questo ai miei occhi: un uomo bello, elegante, serio, non poteva cedere allo sconforto nel non potersi più fregiare del titolo di straordinario.

E continuava a lavorare e a fare numeri. Dico “fare” e non “dare” i numeri perché ai miei occhi di bambina lui, che era un matematico (così si diceva) non scriveva mai numeri ma interi calcoli con simboli strani che non assomigliavano a nessuna delle lettere che io utilizzavo per scrivere i miei temi del lunedì mattina, in classe.

Era proprio un genio.

Ed erano proprio geniali anche gli ospiti che frequentavano la mia casa. Quelli che io timidamente salutavo la sera, prima di andare a dormire, già con il mio pigiamino colorato indosso. Cercavo di capire se anche loro fossero stati straordinari e chiedevo a mio padre che lavoro facessero e lui mi rispondeva che erano matematici, nulla di più.

Erano professori, parlavano tutte le lingue del mondo. Alcuni facevano il baciamano alla mia mamma, altri inchini appena accennati a seconda delle usanze del loro paese. Tutti simpatici, allegri…anche perché non poteva essere altrimenti quando venivano ospitati da mia madre che li accoglieva con manicaretti, nemmeno a dirlo, straordinari.

Io nutrivo ammirazione e rispetto per loro e nessuno mi metteva in imbarazzo o mi faceva paura quanto, invece, i professori delle scuole medie.

Questi ultimi mi giudicavano e non sempre i miei voti risultavano straordinari.

Non avevo preso da mio padre.

Non ero un genio nello studio, non me lo diceva nessuno, nemmeno il mio papà che mi voleva un gran bene. Figuriamoci i professori per i quali restavo uno sgorbietto tutto ossa, con troppi capelli e sopracciglia e un’emotività fuori misura.

Eppure la mia testolina funzionava e due professoresse del liceo se ne sono accorte. Loro, con un lavoro quotidiano, mi hanno permesso di uscire dallo stereotipo che mi era stato cucito addosso della ragazzina poco portata per lo studio.

Mi hanno fatto un regalo immenso: hanno fatto salire la mia autostima.

L’autostima è il valore che ognuno di noi si attribuisce e si basa inizialmente su quanto gli altri ci assegnano.

La mia autostima è mutata dalla consapevolezza di essere una bambina dolce, a quella di potermi vedere come una ragazza abbastanza in gamba da poter affrontare gli studi che più mi attiravano.

Con il tempo ho raggiunto molti degli obiettivi che mi ero prefissata e la mia autostima ha raggiunto una certa stabilità. 

Quanto sto bene da quando mi conosco! Sono in grado di provare ammirazione per chi riesce bene, senza invidia e frustrazione. Ogni tanto mi coglie ancora la sindrome dell’impostore, mi sembra proprio che esista e che abbia questo nome: la paura che tutti si accorgano che non valgo nulla. Uno strascico del lavoro che hanno compiuto anni di senso di inadeguatezza a scuola. Ma fortunatamente esco da questo loop asfissiante in breve tempo. Mi va bene così.

Anzi, grazie a questo allenamento periodico cui mi sottopone spontaneamente la mia mente, sono in grado di reagire prontamente quando qualcuno tenta di mortificarmi.

Sì, mi è successo di recente.

Ho molti progetti e di questi uno è particolarmente ambizioso. Per poterlo realizzare ho avuto la necessità di contattare due professoresse universitarie di matematica. Ordinarie.

Ho avuto modo di osservarne il comportamento e lo strano scherzo che l’autostima ha giocato ad una di loro: si è trasformata in arroganza.

E con l’arroganza che annebbia la vista non si è in grado di capire bene il proprio ruolo, forse nemmeno le basi di una corretta educazione.

La mia autostima però mi ha aiutata in una risposta ferma e gentile. In uno scambio rapido di email ho interrotto la comunicazione. 

Con l’altra professoressa le cose sono andate notevolmente meglio. I suoi dubbi sono stati esposti in modo chiaro e professionale. Non c’è stata arroganza. E questo mi ha dato la possibilità di guardare al mio progetto con una nuova prospettiva senza dover mettere in gioco l’autostima, nemmeno per un istante.

In poche parole ho ricevuto due “no”.

Nessuno dei due mi ha demoralizzata.

Non è entrata in gioco l’autocommiserazione. La evito come evito l’arroganza. 

L’autocommiserazione è un modo comodo per conservare ai propri occhi una parvenza di perfezione pur se confrontati con un insuccesso, imputandolo ad un destino avverso, momentaneo o duraturo, senza perciò fare nulla per elevare la propria condizione dal fallimento costante.

Insomma, per come la vedo io, l’autostima non sta a metà strada tra l’arroganza e l’autocommiserazione. L’autostima viaggia su un binario parallelo, non sta immobile per tutta la vita ma aumenta o diminuisce: è mutevole. Ma non tocca mai arroganza e autocommiserazione.

Arroganza e autocommiserazione si litigano l’animo delle persone che non investono nella propria crescita emotiva.

E, come si sa, da sempre: tra i due litiganti il terzo gode!

Questo articolo è stato pubblicato su Emozioni, numero di giugno 2023.
Lo puoi trovare al link:
https://www.emozioni.ch/digitale.php

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