Ero già mamma di un bellissimo bambino.
Ma era lo stesso la prima volta.
L’odore di disinfettante e il telo verde li conoscevo già e non si sono fermati nella mia memoria. Non tutto rimane. Sono passati diciassette anni ed era la prima volta che vedevo mia figlia.
Mi ha udito e mentre le dicevo che era bellissima puntava gli occhi verso la mia voce. Con le ciglia lunghissime accennava il suo primo battito di palpebre. Era infagottata, tra le mani di una sconosciuta abituata al miracolo quotidiano della vita che sarebbe svanita lasciandoci “noi” per sempre.
Occhi grandi e profumo di buono, una pelle morbida e tesa, una dolcezza infinita.
Passava il tempo.
Cresceva: aveva boccoli biondi che non avrei mai osato desiderare. Li pettinavo cercando di imparare come carezzarli per renderli dorati e lucidi. Li raccoglievo sulla nuca lasciando cadere qualche ciocca in modo che si muovesse libera all’aria mentre lei correva. Una principessa selvaggia, come fosse stato un personaggio dei cartoni animati, uno di quelli che poi nella vita fanno grandi cose.
Siamo state sempre noi, un legame al femminile che non ha mancato mai di stupirmi. Ho avuto accesso a serbatoi di energia quasi infinita da cui ho attinto a piene mani sia per sorreggere la famiglia che per immaginare il mio lavoro.
Ho sentito così tante volte - Mamma sono felice! - che non so contarle.
Ed era un ciclo vizioso in cui non sapevo se per pura magia fossi io a generare questa profonda sensazione di benessere che poi mi tornava indietro come appena spinta da un acceleratore di particelle o se la sua felicità mi portasse a renderle la vita gioiosa per il solo gusto di vederla ancora più felice.
Anno dopo anno ha imparato a superare tristezze e paure. Una determinazione e una coerenza ammirevoli, rese qualità semplicemente umane al solo buttare un occhio sul disordine della sua scrivania e del suo letto.
Bimbi piccoli, problemi piccoli…ragazzi grandi, problemi grandi. Ecco ci siamo.
Una preadolescenza morbida e adesso ci scontriamo con un periodo durissimo.
Ma siamo ancora insieme: io vivo sulla mia pelle i suoi dolori e adesso è lei che attinge a piene mani dal mio serbatoio. Sono qui apposta. Una mamma è un serbatoio di energia, anche quando ne ha poca.
Ma non è solo questo che ci lega e che rende necessaria la nostra alleanza ancora per un po’.
Io insieme a mio marito siamo gli occhi che la guardano e che le rendono l’immagine vera che lei, lasciata da sola, potrebbe perdere. Nessun adulto al pari di me e mio marito sa di quale materia sia fatta la sua anima.
Un volo, finalmente pericoloso, il suo. E noi al suo fianco le indichiamo la via giusta assecondando il suo obiettivo.
Ma qual è la via giusta?
Una sequenza di scelte pensate con una chiara visione di sé.
Una dolcezza ed una sensibilità che sono un dono per tutti in famiglia.
Una cocciutaggine ed una determinazione che portano a sorridere al solo pensare al destino che spetterà a coloro che si frapporranno tra lei e i suoi desideri.
Ma anche le fessure, le fragilità che potrebbero portare alla rottura sono state davanti ai nostri occhi.
E lei vuole conoscerle. Raccontiamo e lei ascolta, avida del nostro punto di vista.
Ultimamente il percorso di studi è difficile. Le sono richiesti sforzi ripetuti che la sfiancano.
Ci sono ragazzi, suoi coetanei, che sembrano non patire e lei ogni tanto li guarda e ambisce a misurarsi con loro.
Lasciamo fare, anche se i paragoni non sono mai la soluzione per trovare lo slancio giusto e balzare in avanti.
Non cambierei una sola virgola in lei, comprese le sue paure e le sue insicurezze, perché sono giuste lì dove sono, in una diciassettenne.
Non cambierei nemmeno la fragilità del corpo. Anche questo le insegnerà qualcosa di utile in futuro. La pazienza nel comprendere il proprio corpo e la dedizione nel curarlo.
Per ora siamo al suo fianco a non permettere che il suo percorso prenda una via diversa dai desiderata.
Tralasciando i ricci biondi o alcuni particolari del carattere, leggendo il mio racconto forse avete rivissuto le vostre più intime emozioni nel seguire il cammino dei vostri figli.
Genitori e figli sono legati da un'esigenza di felicità reciproca, una necessità di donarsi senza paura di essere giudicati, amati sotto ogni aspetto in ogni istante.
Il tanto atteso qui e ora è negli occhi di un genitore mentre sostiene il figlio che prende il volo.
La cosa ancora più bella è che questo sostegno non finisce mai, anche quando da adulti se ne ha meno bisogno.
Sicuramente se ne ha meno bisogno.
Un adulto ha ben presente le proprie capacità, ha una robusta consapevolezza, riesce a superare ogni difficoltà senza vacillare…
Sì, …magari! Le cose non stanno proprio così.
Tanti anni fa ho attraversato un periodo di sconforto e sfiducia.
Ho avuto al mio fianco i miei genitori. Un privilegio, perchè anche da lontano hanno continuato ad assistere il mio volo adulto.
Ho avuto mio marito che mi è stato accanto nel percorso di rigenerazione.
Ho avuto i miei figli, spettatori disinformati della mia crisi, che non mi hanno mai permesso di donare loro meno che attenzione.
Eppure ad un certo punto non mi è bastato l’aiuto di tutto il mondo.
Ho dovuto aiutarmi da sola.
Avevo il cuore stropicciato come quello di una bimba cui hanno rubato i giochi più belli per puro dispetto. L’unica cosa che avevo imparato a fare, magari non nel modo migliore ma sicuramente a modo mio, era la mamma: osservare mia figlia, pregi e difetti, e guardarla con gli occhi di un adulto che conosce il suo valore.
Quindi ho deciso di chinarmi, mettermi in ginocchio, per farmi più piccina e poter comunicare con quella bambina, sofferente e che chiedeva aiuto, come fosse stata mia figlia: la mia parte emotiva che non poteva più essere trascurata. L’ho consolata, l’ho ascoltata quando piangeva.
L’ho resa nuovamente consapevole del proprio valore.
Alla fine, sì, ho fatto leva sulle mie forze, quelle costruite sull'esperienza di madre.
Sono stata mamma e poi figlia. Un percorso di consapevolezza quotidiano. Un dono. Da condividere.
Un racconto di una sensibilità emozionante.
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