Un girocollo di perle rosa, minuscole, tenute insieme da una sottile catenina con foglie d'oro, delicate e leggere come petali, riuscite ad immaginarla? E una semplice camicia bianca ben inamidata, profumata di pulito. Come piace a me, un piccolo tocco di estro e creatività accompagnato da qualcosa di classico.
Adoravo indossare quel monile!
Orgoglio e tenerezza, un'alternanza di sensazioni e ricordi ogni volta che agganciavo le estremità intorno al collo. Orgoglio per il traguardo che avevo raggiunto nonostante mille difficoltà, tenerezza perchè la mia felicità era stata dolce in quel momento.
Quel giorno, mentre camminavo verso il gate, in anticipo come al solito sull'orario del volo, mi fermavo ad ogni vetrina trascinando il trolley e vagavo con la mente vuota tra un manichino e un bancone.
Ricordo lo sguardo rapido, quasi premonitore, che ho dato al girocollo specchiandomi nel reparto di una profumeria.
È stata l'ultima volta che ho visto la mia collana.
Scendendo dall'aereo, giunta a destinazione, ho chiesto al personale di aiutarmi a cercarla.
Non è più mia da quel giorno.
Mi resta il ricordo: la felicità del momento in cui ho aperto la scatolina foderata di seta color avorio. Il sorriso della mia mamma, con le sue labbra morbide e carnose piene di baci, sembrava ancora più luminoso. La nostra complicità, la nostra felicità, insieme, erano tutto in quel momento.
Voi non sapete il motivo di quel dono, ma potete ugualmente immaginare la tristezza nel realizzare che me lo avevano portato via.
Avevo cercato ovunque, dentro la camicia, sperando che fosse rimasta con me, magari spezzata, da aggiustare, rotta, ma ancora mia. E poi avevo infilato le mani in ogni fessura delle poltrone, davanti, dietro. Nulla.
Ho riempito moduli, fornito descrizioni e dettato tutti i numeri telefonici utili a raggiungermi in caso di ritrovamento.
Niente, non l'ho mai più avuta tra le mani.
Ma non è andata persa, non è sparita, esiste ancora; qualcuno oggi, mentre io scrivo e mentre voi leggete, la possiede. Rubata o trovata per caso, era il mio ricordo di felicità.
Adesso avrà tutto un altro significato. Nessuno sa ciò che rappresentava per me, a parte mia mamma, e nessuno sa cosa sia diventata adesso, nella sua seconda vita.
Il medesimo oggetto suscita sentimenti e ricordi diversi a seconda di chi lo guarda e lo possiede.
Forse la felicità è proprio questo, un sentimento unico e personale. Un attimo, comune a mille persone ma che viviamo intimamente in modo soggettivo.
Lo stesso istante guardato con occhi diversi, vite diverse, desideri diversi assume significati differenti e quando siamo fortunati ci permette di toccare la felicità.
La cerchiamo, facciamo sforzi e sacrifici per raggiungerla, poi, quando si tratta di descriverla, abbiamo quel momento di esitazione che ci fa comprendere quanto sia inafferrabile.
Un sospiro, gli occhi che vagano in cerca di ricordi e un sorriso.
"Bella domanda!"
Infinite risposte.
Nei primi mesi di vita il sorriso esplode per la felicità incrociando lo sguardo di mamma e papà.
L'emozione è incontenibile quando si vede Babbo Natale, vero o finto, poco importa…quella è felicità.
Fantasticare sul primo amore e poi sentirlo nascere proprio con la persona che abbiamo desiderato fa scoppiare il cuore, magari soltanto per un istante, ma si tratta di felicità.
Diventare genitore, nonno, zio, il migliore amico di qualcuno e condividere con questa persona risate, avventure, vacanze, vita, questa è la felicità.
Alcuni vorrebbero barattare la felicità con la serenità, la tranquillità, la salute, quasi come se limitare l'intensità del desiderio o la profondità delle sensazioni ci desse in cambio la possibilità di vivere ciò che abbiamo voluto per un tempo più lungo.
Volgere lo sguardo su qualcosa di razionale e sensato può rendere tollerabile il tempo e la vita in assenza di felicità.
Però, se tocchi la felicità, anche soltanto per un istante e sei disposto ad accoglierla, ne rimani talmente coinvolto da non poter far altro che sperare che ricapiti. E sì, desideri ancora la serenità, la tranquillità, la pace, ma le vedi per quello che sono: un intervallo in attesa di una nuova felicità.
C'è un "prima" e c'è un "dopo": l'istante in cui si conosce la felicità cambia ogni volta la prospettiva con cui si guarda alla vita.
Quando incontri la vera felicità rivivi tutto ciò che hai fatto per toccarla.
Dopo prendi coscienza di qualcosa di ancora più potente del desiderio che ti ha permesso di aspettarla e raggiungerla: realizzi cosa sarai in grado di fare per difenderla.
E non si tratta in questo caso di conservare con cura un gioiello, un oggetto, un ricordo.
Si tratta di vivere nel presente con il gusto della felicità ancora in bocca.
Io l'ho conosciuta la felicità di cui parlo.
Ero giovane e ancora incosciente per molti aspetti ma sapevo di essere felice e ogni giorno mi svegliavo sperando che non finisse.
Parlavo ed ero capita; mi pettinavo, mi vestivo, mi truccavo ed ero vista.
Mi profumavo e sentivo il suo profumo; mangiavo ed era il suo stesso cibo.
Pensavo e i miei pensieri erano soltanto per lui.
Ero talmente unita a lui che non distinguevo i confini tra la mia vita e la sua.
E mentre vivevo e assaporavo ogni istante con lo stupore di una bambina e l'egoismo di un'adolescente, sentivo al pari di un adulto che quel tempo così lungo di felicità era una fortuna fuori dal comune.
Con il passare dei giorni tutta quella felicità ci ha guidato nel costruire una famiglia, ci ha permesso di abitare in una casa, ci ha spinto a trovare un lavoro.
Abbiamo poi sperato insieme in una vita tranquilla, serena, in pace. Come tutti.
E gli ingranaggi del nostro matrimonio hanno iniziato a non girare bene. Come per molti.
Eppure siamo stati così fortunati, nuovamente, perchè la stessa felicità dei primi tempi ci è corsa incontro, sfacciata, incurante dei nostri pensieri più tristi, e ci ha urlato di difenderla.
Potevamo essere felici, anzi dovevamo esserlo, ancora e più di prima.
Ora aspetto un altro nuovo momento di felicità, senza rincorrere sinonimi.
Arriva, sono pronta.
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