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sentire la paura




 https://emozioni.ch/scrittori-articoli.php?Autore=Anna%20Benenti


Empatia…ora non so cosa sia, sono nel dormiveglia, un piede giù per terra e l’altro ancora avvolto dalle lenzuola, impedito nei movimenti. I miei pensieri sono confusi: è ora di alzarmi e lavorare o posso permettermi ancora minuti di pausa?

Cerco il comodino con la mano e circondata dal buio tento di capire dove ho dormito. Trovo una superficie di plastica liscia su cui sono appoggiati tre sassi ovali che ho raccolto in estate sulla spiaggia: sono al mare, fantastico!

Posso recuperare i pensieri con calma. 

Ieri sera siamo arrivati tardi e sento ancora tutta la stanchezza del viaggio. Varcata la soglia di casa ho riempito di acqua la ciotola dei cani. Ho annusato l’aria. Un rito come tanti.

Ora ricordo.

Mi alzo. Accantono per un attimo il pensiero dell'empatia.

Accendo il tablet per leggere le notizie e dal terrazzo vedo il mare in lontananza.

Non è vacanza. Ma trascorrere il fine settimana al mare vuol dire non dover inseguire il mondo. Vivere due giorni ogni tanto nella casa dove trascorro l'estate mi fa sprofondare più facilmente nel ritmo lento dei pensieri. E sorrido per un istante.

Il ricordo di un'abitudine cui siamo affezionati, di un evento che ci ha cambiato in meglio la vita, di un incontro che è stato semplicemente bello fa stare bene anche se è terminato da molto tempo. 

Purtroppo la stessa cosa accade quando qualcosa di sgradevole torna in mente: stiamo male sebbene sia tutto risolto.

Lo so che siete d'accordo ma vorrei convincervi fino in fondo. Per questo, mi perdonerete, vi farò un dispetto. 

Ricordate quella volta in cui siete caduti per terra con le ginocchia, strisciando giusto trenta centimetri prima di concludere lo schianto? Magari sulla ghiaietta, quella appuntita, non quella di ciottoli smussati. Lo so, avete fatto una smorfia di dolore. 

Io non ricordo come sono caduta ma la sensazione netta di dolore è ancora sul ginocchio. A dirla tutta sento un male immaginario anche ai palmi delle mani e quasi non resisto, li devo guardare con attenzione per controllare che non ci siano ancora i segni delle sbucciature.

Non ho male, non corro a cercare il disinfettante o il cerotto. 

Però sarei in grado di dare indicazioni precise su come intervenire.

Non soltanto: potrei anche consolare la persona perché so cosa sta provando.

Si tratta di empatia? No, non credo di averla ancora trovata. 

Continuo a cercarla: il ricordo di un'esperienza permette di intervenire in modo opportuno, se siamo persone sensibili e altruiste, beninteso.

Però se tutto si limitasse a questo, io, pur amando i miei figli, non potrei aiutarli o sostenerli durante la loro crescita se non limitandomi alle situazioni che ho già vissuto in prima persona.

Non andrei molto lontano. Loro nemmeno. 

E allora volgo lo sguardo su quelle persone che più di ogni altra incarnano, nel sentire comune, l'empatia. I dottori. 

Come farebbero a curare i loro pazienti se non potessero andare oltre la loro esperienza personale?

Perché, lo sappiamo bene, è necessaria ma non è sufficiente una laurea per essere un buon dottore, di quelli che fanno la differenza. Il paziente vuole essere visto, ascoltato, creduto.

Ve lo dico perché io per prima ho avuto paura di non essere creduta. Una pastiglia aveva avuto un effetto collaterale inatteso e mi aveva fatto esplodere un'emicrania atroce, un dolore che paralizzava i miei pensieri in dinamiche tossiche al punto di farmi credere di morire, sebbene non fossi in pericolo di vita. Mio marito mi abbracciava cercando di confortarmi in quei lunghi minuti di buio,  assicurandomi che mi credeva, credeva al mio dolore e l’avrebbe fatto presente ai dottori. Avrebbe parlato lui se io non avessi più avuto forze nemmeno per soffrire.

Ricordo ogni istante di quella notte e mi stupisce quanto io fossi più preoccupata di essere creduta anziché curata.

E questa paura mi coglie anche adesso a distanza di anni, dopo che ho imparato a ridere di quella sera in cui avevo totalmente ceduto allo sconforto. 

In questi ultimi giorni mi sono recata più volte dall’oculista e la mia ansia maggiore è stata quella di non riuscire a descrivere adeguatamente ciò che stavo vedendo o meglio che non ero in grado di vedere.

Non vi dico il sollievo quando ad un tratto il dottore mi ha detto con tutta la naturalezza del mondo che i filamenti che vedevo galleggiare in un mare trasparente e calmo nel mio occhio li vedeva anche lui da fuori aiutato da quell'enorme macchinario di lenti e luci.

Si trattava  letteralmente di due punti di vista differenti che vedevano la stessa cosa.

Ma allora è questa l’empatia che tutti andiamo cercando in un dottore? L'ho trovata?

Si tratta della loro capacità di vedere con i nostri occhi una nostra esperienza?

No, non basta.

Nello studio oculistico, al pronto soccorso,  ho potuto finalmente tacere, lasciare che mi visitasse accogliendo la diagnosi senza il dubbio di non aver esposto bene i sintomi o taciuto qualcosa di importante della mia anamnesi.

Mi credeva. Mi vedeva. Non c’era bisogno che mi ascoltasse in ripetuti racconti, bastava che parlassi una sola volta. Perfetto.

Sicuramente è stato un bravo tecnico dell’occhio ma posso dirvi anche che con molta abilità ha colto in me la peggiore delle paure e l’ha disintegrata in un istante.

E a quel punto non mi interessa sapere se possa essere vero o meno che un oculista veda ciò che vedo io. Ciò che importa è che in quel momento io mi sia potuta fidare anche della persona oltre che dello scienziato, studioso dell'occhio e del nervo ottico.

L'empatia, forse l'ho trovata? Manca ancora qualcosa.

Lui guardava me, io guardavo lui. 

I nostri punti di vista sebbene diversi osservavano lo stesso oggetto con il medesimo scopo.

E il dottore ha potuto aiutarmi grazie alla sua esperienza,  ai suoi ricordi di ore di studio, testa bassa sui libri.

Ma l'empatia è quella dote che ha fatto la differenza:  è quel passo in più che un uomo sceglie di fare per conoscere meglio la persona che ha dinnanzi, e che senza lasciarsi coinvolgere emotivamente da paure, dispiaceri, sconforto e disperazione riesce ad andarle incontro e ad aiutarla. 

L'empatia è un atto d'amore e altruismo che non viene dal cuore ma dalla ragione mossa da buoni sentimenti. 


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