Quante reiterazioni di un evento sono necessarie?
Quante onde casuali intervengono nel rotolare senza sosta di un sasso?
Quante volte accade che un vertice venga smussato?
Movimenti caotici, descrivibili da modelli matematici che io non posso immaginare, si susseguono dai fondali più profondi fino alla spiaggia, fino ai miei piedi.
E mi consegnano il sasso, sempre più vicino alla perfezione.
Passo ore alla ricerca della sua "forma", armonia tra l'imprevedibile e la semplicità, per costruire un ovale talmente regolare da poter essere disegnato.
Questo caos di movimenti, casualità, ripetizioni, porta all'entropia, il disordine che ho studiato in chimica e in fisica e che ho interpretato come qualcosa di inutilizzabile, sinonimo della fine di tutto.
Un processo che arrivi al suo stato di massima entropia può dichiararsi concluso.
Eppure i sassi, al termine del loro percorso sono perfetti, nella forma, nel colore, nelle sfumature.
Forse non è ancora la loro fine.
Forse hanno ancora qualcosa da raccontare nel loro tempo infinito.
E io li cerco e passeggio tra i sassi, come una bambina mai cresciuta. Mi siedo, li mescolo mentre guardo le onde, li tocco, roventi per il sole d'estate.
E oggi, mentre sostavo davanti all'orizzonte, una bimba di forse cinque anni, uscendo dall'acqua è inciampata, si è appoggiata sulla mia spalla ancora dolorante per l'operazione, ma era leggera e sono riuscita a sorreggerla e a sorridere.
È andata via.
Poi è tornata indietro, mi ha messo in mano due sassi e mi ha fatto "ciao" con la mano.
Ecco, ho trovato i sassi perfetti, quelli rossi e informi, dono di una bimba che mi ha dato tutto ciò che aveva lì con sé.
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