Durante un corso di aggiornamento dedicato alla discalculia, si affrontava il tema dell’insegnamento delle figure geometriche agli studenti con disturbi dell’apprendimento. In particolare, la discussione si concentrava su come introdurre il concetto di quadrato.
Una collega, nel cercare una chiave immediata per spiegare questa figura, proponeva di associarla a un’immagine familiare e concreta: la forma di un toast. L’intento era chiaro: offrire un’ancora visiva e quotidiana per facilitare il riconoscimento del quadrato.
Pur comprendendo il valore evocativo di questa proposta, sentivo però l’urgenza di offrire un altro punto di vista. A mio parere, per arrivare davvero alla comprensione profonda di una figura come il quadrato, è necessario costruire le conoscenze che la rendono significativa: il concetto di ortogonalità, la nozione di lati paralleli e congruenti, la consapevolezza delle relazioni tra gli elementi geometrici. Solo attraversando questi passaggi si può giungere a una comprensione solida e duratura.
Non si tratta di contrapporre un approccio all’altro, ma di interrogarsi su quale visione dell’apprendimento stiamo scegliendo. Personalmente, credo che una semplificazione eccessiva possa, talvolta, rappresentare un atto involontario di sfiducia: non ci si fida della possibilità che i ragazzi, se ben accompagnati, possano davvero capire.
Il mio lavoro quotidiano con gli studenti si fonda invece su una scelta precisa: affrontare ogni concetto in modo accurato, scomporlo in passaggi chiari e affrontabili, affinché l’apprendimento sia costruito su basi solide. Questo non significa complicare, ma rispettare. Significa affidare ai ragazzi gli strumenti per pensare in modo autonomo e consapevole.
E questa, per me, è la forma più autentica di fiducia.
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